Torrevecchia

Autore: Nicolò Bassetti, Sapo Matteucci

Data: 17/01/2014

Luogo: Uscita GRA n.2 (Via di Boccea), 41.918693, 12.409130

TORREVECCHIA

È un quartiere situato nel quadrante nord-ovest della città, internamente al GRA e a breve distanza dalla borgata di Primavalle. La zona è delimitata a nord dalla Trionfale, a sud da via di Boccea, a ovest da via di Casal del Marmo e a est da via Battistini. Storicamente parte dell’Agro romano, almeno fino agli anni Sessanta Torrevecchia è stata una vasta distesa verde occupata soltanto da casupole sparse e, nonostante la forte urbanizzazione, continua a mantenere a tratti la sua vocazione rurale.
Torrevecchia deve probabilmente il suo nome alla presenza di una torretta settecentesca andata ormai distrutta.
All’origine della nascita del quartiere ci sono due leggi del 1977 che hanno cambiato il piano normativo vigente: la 513 e la 584 (Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in corso di edilizia residenziale pubblica – Norme di adeguamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici alle direttive della Comunità
economica europea). Torrevecchia è il più importante intervento edilizio realizzato a Roma grazie ai finanziamenti della legge 584. È approvato un progetto che si sviluppa su 24 ettari e prevede la costruzione di 1074 alloggi destinati a 3600 residenti vicino all’area di Primavalle. I progettisti incaricati (Barucci, Passarelli e Vittorini) elaborano una soluzione che ruota intorno a una piazza centrale punteggiata da quattro torri di quindici piani e dalla quale partono stecche residenziali.

Tratto dal libro Sacro romano Gra di Nicolò Bassetti e Sapo Mattucci, Quodlibet Humboldt, 2013. Capitolo VI, Notizie sui luoghi.


Raggiunta l'Olimpica il traffico si fa improvvisamente più intenso e a via di Torrevecchia si cammina a passo d'uomo. Qui anche oggi, con Roma deserta per il ponte dell’Epifania, le macchine sono ferme in doppia fila.
Non ho l'indirizzo esatto del quartiere PEEP, ma ci arrivo incrociando le torri residenziali che lo caratterizzano, ben visibili dalla strada.
Non mi è subito facile orientarmi. Entro nel quartiere da ovest e attraverso un grande spazio racchiuso tra due ali monotone di edifici grigi. Dalle sottili finestre rosse arrivano rumori familiari. L'area ospita campi sportivi che sembrano abbandonati, panchine sconnesse e recinzioni in metallo. Gli alberi sui due lati sembrano stare lì come spettatori un po’ annoiati. La pioggia si fa più fitta e inizia ad attraversare i miei vestiti di cotone.
Giunto alle torri trovo riparo sotto un porticato di cemento dal quale osservo una serie di prospettive, interessanti solamente per un architetto un po’ esaltato. Lo sguardo si ferma infine su un grande “smile” giallo, i cui occhi sono due fori circolari nella facciata della torre. Accanto, il corpo scala verticale incide la facciata neutra e gioca con il graffito in una composizione finalmente vivace, anche grazie alla presenza di un’auto gialla parcheggiata.
La pioggia è meno intensa e mi dirigo verso lo spazio racchiuso tra due edifici bassi e lunghi, uno dei quali è aggredito da una passerella pedonale. Immagino che in fondo ci debba essere una rampa, perché su un lato - vicino alle porte di accesso delle case - sono parcheggiati diversi motorini. Questa viabilità ibrida consente di osservare dall'alto le piazzette sottostanti, probabilmente popolate nei giorni di sole ma che oggi sembrano poco accoglienti e abbandonate.
Le porte delle case sono ancora decorate con addobbi natalizi e avrei voglia di entrare per conoscere ci abita. Mi sento attratto da questa umanità mostrata e condivisa, che non ha la possibilità di nascondersi dietro l'austerità delle massicce architetture del centro.
Ho l'impressione che il quartiere abbia qualche qualità nascosta, che forse esprimerà meglio in una soleggiata giornata estiva. Certamente la brutalità dei pannelli di rivestimento in cemento grigio si impone su qualsiasi tentativo di trovare un lato nobile in un intervento che non manca certo di violenza ideologica.
Verrebbe voglia di romperlo un po', di contaminarlo con materiali naturali e fargli perdere quell'aria un po’ presuntuosa che sembra voler dire: “ecco, questa è il nostro ideale di città, ora tocca a voi provare a farla funzionare!”.

Contributo al dibattito inviato da:Andrea Stipa